La-canzone

La canzone

L’uomo antico, che viveva in stretto contatto con i fenomeni naturali, divinizzò il vento, che nasceva dal nulla e finiva nel nulla, attribuendogli una sede: le isole Eolie ed un dio che governasse questi misteriosi fenomeni. Attribuì a Mercurio, il messaggero degli dei, un paio di ali ai piedi. I Greci e i Fenici che furono grandi navigatori, identificarono nel vento un elemento essenziale della loro cultura. Così l’anima per i Greci era un alito di vento, come per i Cristiani Dio aveva dato la vita all’uomo attraverso un soffio vitale. Abbiamo quindi una identificazione dell:anima col vento. Dice Cioran: «Oggi chi si cura più dell’anima? Se la si menziona é solo per distrazione. il suo posto é nelle canzoni: soltanto la melodia riesce a renderla sopportabile, a farne dimenticare la vetustà» Allora la civiltà moderna esorcizza il vento non annullandolo (cosa che non può attuare), ma rendendolo inoffensivo attraverso degli schermi che lasciano intatta solo l’apparenza. Infatti noi vediamo il vento solo attraverso il vetro delle case, del parabrezza (appunto parabrezza significa difendersi dal vento), attraverso lo schermo televisivo ecc. La cultura meridionale, di diretta ascendenza da quella greca, di fronte a questa incognita chiamata vento, ha elaborato una serie di funzioni affibiandole dei ruoli di volta in volta diversi: se la canzone espressione di una cultura popolare, il vento assume, secondo le esigenze il ruolo che serve. L’utilizzo popolare per adattarlo ai piü svariati bisogni o necessità facilmente rilevabile nei ruoli popolari assegnati al vento nella canzone napoletana. Epigono e riassuntiva delle diverse funzioni del vento la barcarola «Santa Lucia» che recita: Placida è l’onda / prospero il vento…Con questo Zefiro / Così soave / Oh come é dolce / Star su la nave…/ Mare sì placido / Vento sì caro / Scordar fa i triboli / Al marinaro… / Oh che tardate / Bella la sera / Spira un’arietta / Fresca e leggera. Sembra quasi di vedere un quadro manieristico della scuola di Posillipo dove il vento assume la funzione di lubrificante dei sentimenti idilliaci ad una cultura che ha come referente una sfrenata fantasia: l’uso che ne deriva offre l’estro alle più bizzarre applicazioni. Appartenendo alla matrice ideologica e culturale napoletana, ricordiamo per inciso la celebre aria del Barbiere di Siviglia «la calunnia è un venticello – un’auretta assai gentile». A Napoli il vento si dà veramente da fare, specie come referente dei messaggi d’amore. Esaminiamo qualche breve esempio di applicazione e di funzione, illegitima ma assai efficace, del vento; in «I’ te vurria vasà» Vincenzo Russo introduce un ambiente ove si consuma questo gradevole scenario d’amore: «Ah! Che bell’aria fresca, che addora e malvarosa» e continua «e ‘o viento passa e vasa nu ricciulillo nfronte».
Per il suo profondo senso poetico riportiamo quanto scritto da Ferruccio Masini nel suo «Aforismi di Malpurgo»: «il vento, quando attraversa le foglie, scorre. A volte scorre come una carezza fuggevole, benché imperiosa, quasi temesse di far male nel voler anche soltanto ridestare le voci sepolte».

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